NAPOLI CHE FU

 

 

 23/11/2003

Ossequi, Don Salvatore!

 

 

Nello scenario di una Napoli dai sentimenti che lasciano il posto a vere e proprie sensazioni idilliache, emerge la figura di uno tra i più grandi interpreti della poesia partenopea, che insieme ad Ernesto Murolo, è l'autore di alcune tra le pagine più belle della letteratura classica in vernacolo, ovvero caposaldo tra i poeti del periodo aureo, dove la poesia si mescola a suggestivi scorci paesaggistici. Di Giacomo fu uno tra i maggiori esponenti di quella Napoli che doveva rimanere per molto tempo ancora fra i nostalgici di quel lirismo, che giunse ad alti livelli per poeti del suo stesso stampo. Fu dotto studioso del costume, della storia, delle tradizioni della società napoletana, con particolare riguardo a quella settecentesca, in cui accanto al filosofo storico prende sempre più piede una letteratura di tipo realistico, che riproduce interessanti sfaccettature della vita di quell'epoca. Non possiamo dimenticare la letteratura dialettale che a Napoli fu molto viva nell'età risorgimentale; essa si preparò al momento glorioso che conoscerà dopo il 1860, dove le composizioni in lingua napoletana sono di gran lunga la parte migliore. Definito il poeta della gente umile di una città dai suoi luoghi pittoreschi, la sua fama è soprattutto legata alla poesia, scritta in lingua napoletana. La maggior parte di essa, la più felice, rappresenta con squisita finezza per toni e sfumature, attraverso rapidi quadretti, scene e motivi tratti nell'ordinario quotidiano dai luoghi pittoreschi della città, alle figure , gli usi e costumi.

Sono rappresentati altresì gli umili con la loro miseria, i loro dolori, le loro facili eppur versaci gioie di profonda simpatia umana, venata ora di sorridente umorismo, ora di malinconia, ora di cordiale abbandono, ma di forti contrasti netti chiaroscuri, una rapsodia quotidiana. Amico di poeti, come del già menzionato Ernesto Murolo, di Libero Bovio, del mai dimenticato Raffaele Chiurazzi, dell'intramontabile Ferdinando Russo, di Pasquale Ruocco, di E. A. Mario, lo status di Salvatore Di Giacomo, poeta eccelso, rimane incisa per sempre a caratteri cubitali nel vasto panorama della storia e delle tradizioni della Napoli nobilissima.

 

Poesia come melodia sembra risuonare nei suoi versi a quasi un secolo dalla sua scomparsa. La scena, in tal guisa, sembra rimanere orba di uno tra i più grandi suoi cantori, di quelle delicatezza che solo lui sapeva infondere al cuore distratto. Le liriche Digiacomiane sanno parlare, come non mai, al cuore di chi vuol bene per sempre e non riesce a cambiare la sua libertà, che si fa amore, vita sognata e vissuta di due giovani amanti: come nella bellissima lirica " Era de Maggio" dove il poeta nasce insieme alla voglia di amare dei due amanti, il cui incontro occasionale diventa simbolo di amore eterno, eterna gratitudine per l'altro e vicendevole scambio per l'eterna felicità. L'abboccamento occasionale da luogo e spazio a qualcosa veramente di inesprimibile nel tempo, qualcosa che può sanare le ferite d'amore, allo stesso modo dell'acqua zampillante che manda i suoi effluvi ricchi di magiche voluttà amorose. Timido, ma rivestito di quello strano pudore per cui non sembra sentirsi in difficoltà nel procacciarsi amicizie, lo troviamo ora in compagnia di poeti del calibro di Ferdinando Russo, che, in verità, lo stimava molto, a passeggio per le vie di Spaccanapoli col buon Don Giovanni Capurro, ora con i giornalisti come Carlo Nazzaro seduto al Gambrinus mentre sorseggia insieme all'amico una tazza di caffè sempre occupando il suo solito tavolo. Non dimentichiamo che proprio in quel Caffè fu scritta alla presenza dei migliori poeti del tempo la celeberrima " 'A vucchella" in "quattro e quattrotto" dall'abruzzese Gabriele D'annunzio. Era in corso una tenzone poetica per che scrivesse il miglior testo poetico.

La produzione letteraria del Di Giacomo ebbe inizio sin dal 1884 quando egli, appena ventiquattrenne, esordì con i "Sonetti". è doveroso aggiungere che il Di Giacomo non fu solo poeta, ma letterato completo, narratore in lingua italiana e napoletana: egli trattò caratteri e costumi secondo le dottrine del verismo, nota essenziale della nostra letteratura di fine secolo e, alla ricerca di nuove vie per la sua arte scrisse anche dei drammi tra i più conosciuti: "Assunta Spina" e " 'o voto".

Egli cantò l'amore in tutte le sue manifestazioni e in tutti gli aspetti, penetrando fino in fondo all'animo del nostro popolo, che vive, pensa ed agisce col cuore prima che con l'intelletto. L'ambiente nostalgico della Napoli di ogni giorno fu da lui tratteggiato con purezza e sincerità, con quel senso di solitudine e malinconia che è nel fondo della chiassosa irrequietezza partenopea.

              

        L. M.

 

 

 

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