Nello
scenario di una Napoli dai sentimenti che lasciano il posto a vere e proprie
sensazioni idilliache, emerge la figura di uno tra i più grandi interpreti
della poesia partenopea, che insieme ad Ernesto Murolo, è l'autore di alcune
tra le pagine più belle della letteratura classica in vernacolo, ovvero
caposaldo tra i poeti del periodo aureo, dove la poesia si mescola a suggestivi
scorci paesaggistici. Di Giacomo fu uno tra i maggiori esponenti di quella
Napoli che doveva rimanere per molto tempo ancora fra i nostalgici di quel
lirismo, che giunse ad alti livelli per poeti del suo stesso stampo. Fu dotto
studioso del costume, della storia, delle tradizioni della società napoletana,
con particolare riguardo a quella settecentesca, in cui accanto al filosofo
storico prende sempre più piede una letteratura di tipo realistico, che
riproduce interessanti sfaccettature della vita di quell'epoca. Non possiamo
dimenticare la letteratura dialettale che a Napoli fu molto viva nell'età
risorgimentale; essa si preparò al momento glorioso che conoscerà dopo il
1860, dove le composizioni in lingua napoletana sono di gran lunga la parte
migliore. Definito il poeta della gente umile di una città dai suoi luoghi
pittoreschi, la sua fama è soprattutto legata alla poesia, scritta in lingua
napoletana. La maggior parte di essa, la più felice, rappresenta con squisita
finezza per toni e sfumature, attraverso rapidi quadretti, scene e motivi tratti
nell'ordinario quotidiano dai luoghi pittoreschi della città, alle figure , gli
usi e costumi.
Sono rappresentati altresì gli umili con la loro miseria, i loro
dolori, le loro facili eppur versaci gioie di profonda simpatia umana, venata
ora di sorridente umorismo, ora di malinconia, ora di cordiale abbandono, ma di
forti contrasti netti chiaroscuri, una rapsodia quotidiana. Amico di poeti, come
del già menzionato Ernesto Murolo, di Libero Bovio, del mai dimenticato
Raffaele Chiurazzi, dell'intramontabile Ferdinando Russo, di Pasquale Ruocco, di
E. A. Mario, lo status di Salvatore Di Giacomo, poeta eccelso, rimane
incisa per sempre a caratteri cubitali nel vasto panorama della storia e delle
tradizioni della Napoli nobilissima.
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Poesia
come melodia sembra risuonare nei suoi versi a quasi un secolo dalla sua
scomparsa. La scena, in tal guisa, sembra rimanere orba di uno tra i più grandi
suoi cantori, di quelle delicatezza che solo lui sapeva infondere al cuore
distratto. Le liriche Digiacomiane sanno parlare, come non mai, al cuore di chi
vuol bene per sempre e non riesce a cambiare la sua libertà, che si fa amore,
vita sognata e vissuta di due giovani amanti: come nella bellissima lirica
" Era
de Maggio" dove il poeta nasce insieme alla voglia di amare dei
due amanti, il cui incontro occasionale diventa simbolo di amore eterno, eterna
gratitudine per l'altro e vicendevole scambio per l'eterna felicità.
L'abboccamento occasionale da luogo e spazio a qualcosa veramente di
inesprimibile nel tempo, qualcosa che può sanare le ferite d'amore, allo stesso
modo dell'acqua zampillante che manda i suoi effluvi ricchi di magiche voluttà
amorose. Timido, ma rivestito di quello strano pudore per cui non sembra
sentirsi in difficoltà nel procacciarsi amicizie, lo troviamo ora in compagnia
di poeti del calibro di Ferdinando Russo, che, in verità, lo stimava molto, a
passeggio per le vie di Spaccanapoli col buon Don Giovanni Capurro, ora con i
giornalisti come Carlo Nazzaro seduto al Gambrinus mentre sorseggia insieme
all'amico una tazza di caffè sempre occupando il suo solito tavolo. Non
dimentichiamo che proprio in quel Caffè fu scritta alla presenza dei migliori
poeti del tempo la celeberrima " 'A vucchella" in "quattro e
quattrotto" dall'abruzzese Gabriele D'annunzio. Era in corso una tenzone
poetica per che scrivesse il miglior testo poetico.
La
produzione letteraria del Di Giacomo ebbe inizio sin dal 1884 quando egli,
appena ventiquattrenne, esordì con i "Sonetti". è
doveroso aggiungere che il Di Giacomo non fu solo poeta, ma letterato completo,
narratore in lingua italiana e napoletana: egli trattò caratteri e costumi
secondo le dottrine del verismo, nota essenziale della nostra letteratura di
fine secolo e, alla ricerca di nuove vie per la sua arte scrisse anche dei
drammi tra i più conosciuti: "Assunta Spina" e " 'o voto".
Egli
cantò l'amore in tutte le sue manifestazioni e in tutti gli aspetti, penetrando
fino in fondo all'animo del nostro popolo, che vive, pensa ed agisce col cuore
prima che con l'intelletto. L'ambiente nostalgico della Napoli di ogni giorno fu
da lui tratteggiato con purezza e sincerità, con quel senso di solitudine e
malinconia che è nel fondo della chiassosa irrequietezza partenopea.
L. M.
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