NAPOLI CHE FU

 

 

18/11/2003

 

Ho sognato di cantare

 

 

Avendo visitato diversi siti qui ho finalmente l'occasione per manifestare un mio stato d'animo dietro la scomparsa del grande Roberto.

Voce incontrastata per oltre un cinquantennio nel panorama di una Napoli segnata dal decadimento morale, strutturale e urbanistico, se n’è andato in sordina, così come era entrato nella scena partenopea, Roberto Murolo degno erede di suo padre Ernesto poeta di ampio respiro.

Dopo la sua scomparsa, Napoli piange uno dei più grandi maestri della sua tradizione, forse il più grande, che con la sua calda voce si è fatto interprete di un repertorio musicale che spazia dalla rnetà del duecento fino alla seconda metà del novecento.

Non a caso Renzo Arbore, con il quale Roberto aveva stretto un sodalizio canoro e discografico negli ultimi anni, lo ha paragonato a Frank Sinatra, soprannominato “The Voice”, per le suggestioni che riuscîva a trasmettere con le sue canzoni. Infatti non vi può essere canzone senza un preciso componimento lirico, né afflato corale che non descriva un certo ed ernozionante risveglio canoro.

Chi parla è un nostalgico della canzone napoletana, stanco come molti di vedere quella pletora di pseudo-cantanti e "non voci" perché il vero canto è un’ altra cosa. Dal momento in cui ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica, il giovane Murolo ha sempre remato contro corrente; figlio d'arte, aveva già tracciata nel suo destino una strada tutta in salita. La “scalinatella” della canzone, a mio avviso non è altro che la metafora di chi, affrontando una vita di fatica e sacrificio, raggiunge il successo duro da affrontare, ma facile da perdere per la banalità delle circostanze, per le difficoltà che spesso la vita riserva.

 

Murolo ha rivoluzionato la canzone napoletana. A partire dagli anni cinquanta in molti hanno guardato a lui come ad un faro. Alcuni come Fausto Cigliano, Ugo Calise, Mario Maglione, vennero designati suoi eredi naturali per il modo "confidenziale" di cantare; altri come Peppino Di Capri, Renato Carosone, e negli ultirni anni, Renzo Arbore sono stati considerati continuatori della sua opera di rinnovamento della tradizione partenopea.

Nel 2001, Murolo aveva detto addio alle scene alla sua maniera con un disco di dodici canzoni inedite intitolato "ho sognato di cantare". Un titolo che spiegò così: “Fin da bambino cantare era il mio sogno. Ci sono riuscito; ho la sensazione che la mia vita sia un bellissimo sogno”.

Schivo, ai riflettori preferiva la vita appartata nella sua casa museo in cima alla collina del Vomero, piena di foto e di ricordi. Religioso, aveva la passione di conoscere le vite di tutti i santi. Una volta gli fu chiesto:” Maestro,se dovesse congedarsi “dal pubblico a chi lascerebbe i suoi beni?” Rispose:” Alla Chiesa, perché voglio guadagnarmi il Paradiso; e alla “fondazione Murolo”, perché la canzone napoletana continui a vivere.” La sua più grande preoccupazione era che non fosse dimenticata la tradizione partenopea, il suo folklore, la sincerità e l'umiltà della sua gente. E così sarà fino a che ci saranno animi sensibili, disposti ad ascoltare la sua voce pura e schietta, desiderosi di vivere pienamente la loro napoletanità.

Roberto, lasci un solco profondo nella tua amata città, ma la tua canzone resterà immortale perché, sulla tua rotta, navigheranno ancora tanti timonieri la cui scia non svanirà come quella dei semplici "mercenari" privi di sogni e profondità.

 

   L. M.

 

 

 

 

INDIETRO