Di Joris Lacoste
Interpreti:
Estelle Franco, Flavia Gusmao, Ines
Nogueira, Paula Diogo, Tobias Monteiro, Vitor D'Andrade.
Regia: Martim
Pedroso.
Iniziamo col dire
che definire questa roba “arte” è una delle più ingiustificate, soggettive ed
esecrabili opinioni che qualcuno possa esprimere. Lo spettacolo del francese
Joris Lacoste con la regia del lusitano Martim Pedroso è completamente in
portoghese con sovra titoli in italiano, scelta già di per sé discutibile visto
che certe volte non si può
osservare
l’attore per leggere cosa sta dicendo ed altre lo stesso attore si pone davanti
allo schermo impedendone la visione, ed inizia con lo spaesamento di 6 attori
alle prese con una piece teatrale che consapevolmente stenta a partire e dopo 10
minuti di silenzio ed immobilità, raccontano di come doveva essere lo spettacolo
atteso, menzionando aggettivi, straparlando o raccontando storie improbabili,
parole e storie senza senso e senza collegamento fra loro, difficili da seguire
anche per il problema della lingua. Questo modo di fare “teatro” poteva anche
capirsi condensato in trenta minuti ma in circa due ore non si può alla fine che
maledire la propria scelta di essere lì, la lingua portoghese e probabilmente
anche Mourinho come capro espiatorio. Per un attore può essere anche una prova
stimolante recitare il nulla, in uno spettacolo che non ha niente da dire, e
questi sono anche bravi, strappano alla fine anche qualche piccolo applauso dal
numeroso pubblico, ma il tutto risulta davvero senza senso e difficilmente
digeribile. Inoltre è probabile che nel testo si celi un significato profondo ma
la realizzazione scenica mette talmente in secondo piano il linguaggio ed i suoi
paradigmi facendo vomitare parole in continuazione o all’eccesso imponendo
silenzi imbarazzanti, che scoprirlo diventa un’impresa difficile e forse anche
superflua per lo spettatore.
La novità consiste nell’intervallo tra il primo ed il secondo atto che è ad esclusiva utilità degli attori e non per il pubblico, costretto a rimanere seduto, verosimilmente per la paura che se ne vada via, e obbligato anche ad assistere a 10 minuti di sosta degli attori che bevono, fumano e parlano fra loro.
Per il resto non c’è molto da aggiungere a parte qualche danza immotivata, alcune anche al buio, quindi, concludendo, il nome Purgatorio richiama la pena per gli astanti che precipitati in questa situazione non vedono l’ora di scontare la loro condanna per poter tornare felici alle proprie case.
Raimondo Miraglia
17/06/09