Di Marie Michaud, Robert Lepage
Interpreti:
Henri Chassé,
Marie Michaud,
tai wei foo.
Coreografie:
tai wei foo.
Scenografia: michel gauthier
Traduzione inglese:
michael mackenzie Regia:
Robert Lepage
Robert
Lepage, regista dello spettacolo e coautore insieme a Marie Michaud, ci fa
entrare con un balzo nella Cina di oggi attraverso uno spettacolo coinvolgente
ed
intimo che riprende i temi della sua Trilogia dei Dragoni (Le dragon vert, le
dragon rouge et le dragon blanc) del 1985, dove alcune famiglie cinesi immigrate
nel Canada dipanavano le loro vicende tormentate. In Le dragon bleu invece la
prospettiva è ribaltata, troviamo, l’allora studente d’arte Pierre Lamontagne
(interpretato da Henri Chassé), che si è trasferito a Shangai per studiare e che
col tempo ha messo su una galleria d’arte, qui lo ritroviamo insieme alla
promettente artista Xiao Ling (interpretata da Tai Wei Foo), vivere in una
Shangai proiettata a folle velocità verso l’Expo del 2010 e quindi verso un
futuro fatto di grattacieli, consumismo ed economia selvaggia, temperato da
tradizioni secolari ed inneggiamenti patriottici
al
mito della rivoluzione popolare e alla dittatura che sanno però tanto di vecchio
in un Paese che alterna in tv spot di samurai che mangiano hamburger e parate
militari socialiste. In questa ambientazione Claire Foret (Marie Michaud) arriva
casualmente dal passato di Pierre in Cina per adottare una bambina e sconvolgerà
la vita ordinata dei tre protagonisti.
Le dragon bleu, il tatuaggio che Pierre ha sulla schiena, è la dimostrazione e l’esternazione, così come i tatuaggi vengono consideratati in Cina, delle punizioni della vita, dei sentimenti, del dolore e del piacere, ed immerge gli spettatori con lentezza e placidamente nella cultura cinese contraddittoria di oggi. Tutto questo grazie soprattutto ad una incredibile scenografia, che ha alle spalle tanti tecnici e lavoratori e che qui ricordiamo e rendiamo omaggio attraverso l’ideatore delle scene Michel Gauthier. Nello spettacolo di Marie Michaud e Rober Lepage ritroviamo tre storie, tre vite, tre desideri che si incrociano come i corsi del fiume Yang Tze Chiang (il fiume azzurro), e si evidenzia proprio una leggenda legata al fiume, secondo la quale le giovani donne che erano indecise se tenere o meno un bimbo appena nato, lo affidavano allo Yang Tze, che, attraverso i suoi corsi, decideva per loro. Infatti se il bimbo calato nelle acque avesse preso una direzione sarebbe annegato, con una seconda sarebbe arrivato in un villaggio e adottato da una nuova famiglia e con una terza sarebbe tornato indietro dalla madre che lo avrebbe tenuto con sé. E questa, che è anche la storia di un bambino desiderato e detestato, non poteva concludersi che allo stesso modo con un finale che definire aperto è dir poco. Insomma uno spettacolo davvero godibile con il limite dei sottotitoli in italiano, visto che la recitazione è in francese, inglese e mandarino, che toglie inevitabilmente partecipazione allo spettatore ma che consente anche di poter gustare abili produzioni internazionali come questa.
Raimondo Miraglia
28-06-11