NAPOLI CHE FU

 

 

7/12/2003

 

Ernesto, l'arte del sognare

 

 

è proprio vero che certe liriche amorose, intonate magari sul far della sera, quando la penombra sembra avvolgere i più teneri sentimenti,in un alone di idillio amoroso, possono portare a certe atmosfere sublimi, dove il canto sembra fondersi insieme ai ricordi di un tempo che c'era e che non tornerà mai più. Ecco che la poesia diventa qualcosa di impareggiabile cesellatura, allorchè è ascoltata da un animo nobile, dove soltanto l'amore può regnare, lasciando il posto a due cuori il cui destino è quello di rimanere per sempre uniti.

In questa atmosfera di completo abbandono dei propri sentimenti, dove l'amore "che tutto move" si realizza quell'unione di anima e corpo di cui il poeta ne ha piena conoscenza.

Si toccano così vette di incommensurabile poesia, di abbandono dei sogni, che esprimono liriche di un amore indicibile per la propria terra, per i suoi umori, per colui che parte e per l'amata che lo aspetta vicino al fuoco, reso vivo dall'amore palpitante di due giovani, costituisce in tal modo l'essenza stessa della vita. La poesia si fonde con un ricordo melanconico, che si strugge dal desiderio di ritrovarsi e di non lasciarsi più.

Poeta dalle indicibili note di sofferenza e di pathos, Ernesto Murolo (1876-1939) rompe gli schemi di una evanescente "scuola", dove l'amore non era niente più che un nobile sentimento, dettato da una poesia di circostanza, di convenienza, da un orpello esteriore, da tanti abbracci non conclusi mai.

Gli pare di sognare, attraverso le sue pagine, dense di sentimenti, pregne di ricordi lontani, alla maniera di colui che vive attraverso le ragioni di un essere, non rinunciando a null'altro di emotivo. A parte la predilezione d'estro, Ernesto Murolo è un poeta sensibilissimo, raffinato, senza scorie e volgarità, la stagione che egli mette in evidenza è un' epoca felice, l'ultima dell'età d'oro di Napoli, in cui il popolo è felice, in cui la luna si compiace allo spettacolo dei convitti sulla spiaggia. La sua visione è totalmente idilliaca, non turbata dalla percezione della povertà e dell'angustia: il suo popolo, quasi oleografico, è simile a quello descritto dai viaggiatori stranieri del lontano ottocento. Da molti, definito "il poeta del mare" Murolo non si stancò mai di cantare le bellezze di Posillipo, che risulta essere una gemma di Paradiso, incastonata, mirabilmente, nel golfo di Napoli, la cui descrizione, quanto mai realistica, è degna della pittura dei più autentici "Macchiaoli".

Cantore impareggiabile del mare d'estate, turgido di salsedine e di odori, Murolo, nel corso della sua carriera, dedica moltissime canzoni al mare, ai pescatori, alle barche e alle "femmine" del mare. 

 

La sua attività ha inizio come commentatore del "Pungolo" e del "Monsignor Perrelli" periodico umoristico, prima di trasformarsi nel poeta più richiesto dalle case editrici per tutti i primi anni del novecento.

Afferma Ettore De Mura nella sua "Enciclopedia della Poesia Napoletana", che "Murolo ha reso in colore la sua poesia perchè, principalmente, è il suo stesso dialetto ad essere colorato. Ed ecco le sue masserie ampie e verdi come un sogno sereno, i suoi giardini cosparsi di fiori vividi e profumati, le casette "pittate" in rosa, le strade di campagne grigie assolate nell'immensità agreste, le osterie rustiche, quasi note a lui solo, col piccolo pergolato teso come un aereo baldacchino di verde sull'allegria di cuori giovani e festanti, il terso rubino del vinello vesuviano a cui si accosta la bocca amata e amante, e il colore del cielo e quello del mare.

Colore e senso della vita, l'attimo vissuto e da vivere, il mondo color di rosa... Sono questi i motivi delle sue poesie e delle sue canzoni. Amò la sua Napoli teneramente, tenacemente, e seppe difendere l'arte con ardore appassionato".

A differenza del Galdieri, la poesia di questo poeta è un inno alla vita, in essa l'amore, le passioni, la sensualità e il piacere sono materialisticamente esaltati, insieme alle vigne ubertose delle nostre colline, le alghe del mare e a tutto ciò che vive e che dà gioia e calore all'esistenza, i prati, i fiori, il cielo, il mare e la Piedigrotta.

La sua lirica è piena di allegria e di spontaneità anche quando tratta argomenti seri e dolorosi come la guerra libica e la guerra mondiale; diremmo anzi che in questi due ultimi esperimenti poetici, c'è il suo caratteristico umorismo. Pur nella sua gioiosa  visione dell'esistenza, non gli sfuggivano le miserie del popolo nei quartieri poveri; ma in lui è sempre viva quella fiducia e quell'ottimismo che erano alla base del suo carattere. La ricerca del vero lo portava spesso da Marechiaro ad Antignano per condire i suoi versi con il compiaciuto godimento delle bellezze della sua città. Era innamorato della sua Napoli e prima di morire il 30 ottobre 1939 volle essere portato a Posillipo per potere ancora una volta godere di quelle bellezze dalle quali non aveva mai voluto distaccarsi. Molte sue poesie come "Pusilleco addiruso"; "Te sì scordato 'e Napule"; "Adduormete cu me"; "Napule ca se ne va"; furono musicate e lo resero immortale.

 

   L. M.

 

 

 

 

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